Sono passati quattro anni dalla proclamazione della Repubblica del Sud Sudan. Il 9 luglio 2011 è trascorso nella gioia e nella speranza in un domani diverso. Lo aveva sottolineato più volte anche mons. Cesare Mazzolari, nella trepidante attesa di quel giorno: «Il popolo sospira la libertà da sempre e non può più attendere». Finalmente sembrava possibile toccare con mano quella libertà negata per troppo tempo, sepolta sotto quasi 50 anni di guerra civile, logorata da paure, sofferenze, lutti, povertà, malattie.
Col senno di poi, una calma soltanto apparente. La contesa sulle risorse petrolifere con il governo di Khartoum, la corsa al potere con la sfida tra il presidente Salva Kiir Mayardit e il suo rivale Riek Machar, e gli scontri intertribali hanno condotto gradualmente ad una nuova, violenta crisi nel dicembre del 2013, che tutt’ora tiene attanagliato un intero Paese dal punto di vista socio-economico.
Sui mercati, i prezzi per i beni di prima necessità sono lievitati in maniera incontrollata; spesso cibo e altri prodotti (compreso il carburante per i generatori e i veicoli) non sono disponibili, e anche la produzione di petrolio, prima entrata per il Paese, è scesa drasticamente.
I combattimenti tra le truppe governative e i ribelli hanno condotto in pochi mesi all’aggravarsi delle condizioni umanitarie che già prima rappresentavano un’urgenza. L’UNHCR stima che siano 4,6 milioni le persone che soffrono a causa dell’insicurezza alimentare, con oltre 250.000 bambini a rischio malnutrizione. Dall’inizio del conflitto a oggi, si contano 2,1 milioni di sfollati interni, e oltre 730.000 rifugiati nei Paesi confinanti (Sudan, Etiopia e Uganda in particolare).
A rischio anche l’accesso a fonti di acqua potabile, fatto che costringe i civili a vivere in condizioni igienico-sanitarie inimmaginabili, esposti a minacce tra cui infezioni ed epidemie. E’ delle ultime settimane la notizia della diffusione di un’epidemia di colera nella capitale Juba. Nell’ultimo aggiornamento diffuso dall’UNICEF, si parla di 26 morti di colera dal primo caso segnalato il 18 maggio, e ulteriori 400 casi sospetti nei territori circostanti Juba, il 14% dei quali bambini sotto i 5 anni, in pericolo proprio per la diarrea grave scatenata dalla malattia.
E dall’Onu arrivano le accuse di stupri e violenze inaudite a carico dell’esercito, irrispettoso dei diritti umani fondamentali e che non risparmia nemmeno l’uso di bambini soldato.
L’urgenza umanitaria non può quindi prescindere dal bisogno impellente della pace, per un giovane Stato a cui, da quattro anni a questa parte, è stato finora impedito di camminare autonomamente verso il proprio futuro.