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25 Gennaio 2023

P. Christian ci racconta l’attesa per l’arrivo di Papa Francesco

Emozione e trepidazione per l’arrivo di Papa Francesco in Sud Sudan che dal 3 al 5 febbraio sarà a Juba. Il Santo Padre è infatti pronto per il viaggio apostolico in Africa dal 31 gennaio al 5 febbraio, nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan. 

Riportiamo di seguito le parole di padre Christian che ci ha raccontato come la comunità di Rumbek si sta preparando per l’arrivo di Papa Francesco.

P. Christian come vi state preparando come comunità di Rumbek all’arrivo del Papa? Preghiamo ogni giorno non solo perché il Papa arrivi nella nostra comunità, ma anche per mostrargli che siamo una Chiesa e un paese in cammino sulla via della pace e comunione. Importante è stato anche l’utilizzo dei mass media e della radio diocesana per narrare e divulgare informazioni sulla figura del Papa, sul suo ministero e sull’importanza di questa visita che è la prima in Sud Sudan, ma anche la prima ad avere un valore ecumenico, in quanto il Papa non sarà solo, perché accompagnato dal primate anglicano e il moderatore presbiteriano. 

Come avete coinvolto i giovani? Abbiamo pensato di chiedere loro di dare vita a nuovi canti sull’ “ESSERE CHIESA INSIEME”, ma anche di pensare a qualche scena teatrale il cui tema sia la pace. Inoltre con un gruppo di giovani cammineremo verso Juba passando da una parrocchia all’altra e ci faremo portatori di un messaggio di comunione e di pace nelle nostre comunità grazie ad una novena di preghiera e riflessione sul CAMMINARE INSIEME. 

Che cosa rappresenta la visita di Papa Francesco per il Sud Sudan? Il Santo Padre viene come PELLEGRINO DI PACE. Il Papa ci dà l’esempio affinchè anche noi ci uniamo lungo lo stesso cammino. Un rinnovato impegno per la pace e la riconciliazione, insieme alle altre confessioni cristiane, saranno il cuore dell’appello del Papa alla Chiesa che si pone come una Chiesa aperta e non chiusa in se stessa. Una Chiesa che non si lascia conquistare dalle logiche del potere e del prestigio presenti nel mondo, ma che si pone come una Chiesa che accoglie e che abbraccia tutti. Quello che mi aspetto, e vorrei, è un rinnovamento vero e profondo, che riporti la Chiesa verso l’essenziale del Vangelo e dell’evangelizzazione, verso la santità senza compromessi, verso il servizio ai poveri e senza autocelebrazioni. Una Chiesa che si trasforma dal suo interno.

P. Christian come vivono i Sud Sudanesi e quali sono i loro bisogni? Gli anni di conflitto hanno reso molto alto il costo della vita. Le attività economiche non sono incoraggiate. Il lavoro retribuito è garantito solo a un piccolo numero di persone. Nella maggior parte dei casi il lavoro non paga. L’insicurezza e le incertezze sono molte. Gran parte della popolazione deve prodigarsi per sopravvivere nell’immediato senza poter investire nel futuro. Quindi credo che il primo bisogno sia la stabilità del governo e delle istituzioni capaci di garantire sicurezza e ripresa economica. C’è bisogno che il Paese metta finalmente i propri cittadini e il loro benessere, che in molti dei casi non significa altro che poter vivere, al primo posto. Il rispetto della dignità della vita di ogni persona è fondamentale. E questo nasce dal disarmo del cuore oltre che il disarmo reale dalle armi. Le armi sono una maledizione per questo Paese. Una volta disarmati, allora molti sfollati e rifugiati (quasi un terzo della popolazione) potranno tornare nei propri territori, ricostruire le loro case e ricominciare a vivere.

Come è possibile costruire la riconciliazione? Prego sempre per la conversione del cuore. Come prima cosa la pace deve trovare il suo posto prima di tutto nei cuori di ognuno di noi.  Solo allora si avrà la capacità di vedere la realtà di povertà che affligge questo popolo nonostante le tante risorse. Solo allora si avrà la capacità di ascoltare i dolori e la frustrazione, di accompagnare e sostenere le persone con particolare attenzione e cura a coloro che sono più fragili per poter aprire in questo modo un cammino nuovo. In questo percorso un ruolo davvero molto importante lo ha l’istruzione, perché permette alle giovani e nuove generazioni di essere libere di scegliere il bene vincendo su ogni manipolazione, ignoranza o ideologia.

Che valore ha la parola di Dio per la gente sud sudanese in rapporto alla riconciliazione? Nel 2009, al termine del secondo sinodo per l’Africa, il Papa scrisse una esortazione dicendo che in questo continente l’evangelizzazione non può che prendere il nome di riconciliazione: una condizione indispensabile per plasmare in Africa i rapporti di giustizia tra gli uomini, ma anche per edificare una pace equa, che duri nel tempo e che abbia rispetto di ogni singolo individuo e di tutti i popoli. Una pace che accolga il contributo e l’apporto di tutte le persone di buona volontà andando al di là delle rispettive appartenenze religiose, etniche, linguistiche, culturali e sociali. 

Come è vivere a Rumbek? Quello che più mi ha colpito in questo tempo a Rumbek sono stati l’accoglienza e l’affetto della gente che ho ricevuto non per merito, ma in nome della fede in Gesù Cristo e in memoria di padre Cesare Mazzolari.  Lui è stato davvero molto amato da tutti e considerato come il buon pastore che ha fatto rialzare tutta la popolazione dalla sofferenza del conflitto e dalla povertà. Oltre a questo sono anche sorpreso e riconosco le grandi potenzialità di questa gente a servizio della Chiesa e del Paese. Questo è il risultato di quanto seminato dai missionari e al loro lavoro portato avanti con coraggio pur in mezzo a tante difficoltà, insicurezze e incertezze. 

Come procedono i lavori nella diocesi di Rumbek, dove lei è arrivato a 12 anni dalla scomparsa di p. Cesare Mazzolari? Stiamo lavorando sul percorso sinodale per valutare e riqualificare tutte le attività alla luce dell’evangelizzazione che si potrebbe tradurre in umanizzazione fondata sull’incarnazione di Cristo povero e liberatore. Allora arriveremo a riscoprire Dio presente nella nostra umile vita, e riscoprire la nostra umanità perduta a causa dell’egoismo, dell’avidità e smania di potere. L’evangelizzazione è il tronco di questo albero che è la Chiesa che poi si apre con tanti rami che sono, per esempio, l’istruzione, la cura dell’ambiente e lo sviluppo economico, l’emancipazione della donna, la formazione degli agenti pastorali, la valorizzazione dei giovani, il dialogo con la cultura, la promozione della giustizia e della pace, la comunicazione sociale, la cura della salute, l’intervento umanitario attraverso la Caritas. Riguardo all’istruzione, che è un ministero particolarmente importante nella diocesi di Rumbek, ci proponiamo a non promuovere solamente l’insegnamento di alcune materie ma la formazione umana integrale e per questo abbiamo istituito una commissione per la formazione umana e cristiana che sostiene il lavoro del dipartimento educativo e vuole favorire un ambiente positivo nelle scuole dove il personale scolastico sia davvero a servizio degli studenti e della loro crescita. Credo che p. Cesare Mazzolari stia accompagnando il cammino della Chiesa di Rumbek attraverso la sua intercessione. E questa certezza ci dà forza.

Che ricordo ha di p. Cesare Mazzolari? Ho conosciuto p. Cesare negli anni novanta quando ero un giovane seminarista. Poi l’ho incontrato varie volte quando sono arrivato in Sud Sudan nel 2005. Non avevo mai operato nella sua diocesi, ma lui si prodigava per tutti. E anche noi, missionari fra i Nuer, beneficiavamo della sua opera nella diocesi di Rumbek come punto di riferimento per tante cose, compresa la logistica. L’ho sempre visto come un degno successore di San Daniele Comboni: un infaticabile missionario, un buon samaritano, un pastore che ama le sue pecore, un maestro che dà l’esempio, un amico che dà la vita senza calcolarne il costo. Ecco che quando celebro nella piccola cattedrale di Rumbek, il mio sguardo cade spesso sulla tomba di p. Cesare e sento la sua forza che mi sostiene nell’opera che mi è stata affidata. 

 

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