Da una settimana il Sudan del Nord è attraversato da un’ennesima, violenta ondata di proteste che ha già portato ad oltre 140 morti e causato l’arresto di altre 700 persone. La situazione è precipitata in seguito all’annuncio di Bashir della sospensione dei sussidi per il carburante, che ha provocato il raddoppio del prezzo della benzina. I manifestanti hanno chiesto nuovamente le dimissioni del presidente – dittatore, Omar al-Bashir, al potere dal 1989 in seguito ad un colpo di Stato.
Una richiesta sempre più forte della popolazione già finita più volte nel sangue che si aggiunge ad una guerra civile che in molte aree del paese vede ribelli e le violente milizie di Bashir combattersi con ferocia. Dal 2011, sull’onda della Primavera araba, a Khartoum e nelle principali città del paese sono scoppiate proteste e manifestazioni pacifiche di piazza, scatenate dalla politica di austerity voluta dal Governo. La grave crisi economica che sta colpendo il Sudan, è dovuta anche alla separazione avvenuta del Sud Sudan, da cui arrivavano gli ingenti guadagni del petrolio, oggi di proprietà del governo di Juba. C’è stata poi una grave svalutazione della sterlina sudanese, con conseguenze drammatiche per la popolazione che però non è più disposta a subire, dopo anni di soprusi.
La risposta del governo alle manifestazioni pacifiche, organizzate dalla società civile contro la povertà e per i diritti basilari, è stata ancora una volta di una violenza inaudita.
Prima della repressione di piazza, Bashir ha ordinato la chiusura di Internet, e le redazioni dei principali giornali sono costrette in questi giorni a pubblicare solo le notizie ufficiali del governo.
Secondo il Centro africano di studi sulla giustizia e la pace e Amnesty International, in un comunicato congiunto di pochi giorni fa, le forze di sicurezza hanno ucciso, colpendoli alla testa e al petto, almeno 50 manifestanti. Secondo fonti locali e i manifestanti, i morti invece sarebbero oltre 100. Solo a Omdurman, sono stati raccolti 36 cadaveri ed eseguiti 38 interventi chirurgici. La maggior parte dei manifestanti uccisi erano di età compresa tra 19 e 26 anni. Una strage ignorata dai media italiani, e da buona parte della comunità internazionale, come anche i tanti focolai di ribellione che stanno attraversando tutto il Sudan del Nord, malgrado la violenza repressiva di Bashir.