Blog

2 Febbraio 2012

Il ritorno di un incubo – In diretta dal Sud Sudan

Ieri notte e nelle prime ore della mattinata, il suono indimenticabile del Kalashnikov, ci ha tenuto compagnia. Ho saputo da poco che sono state uccise delle persone, colpevoli di essere stranieri in questa terra: forse ugandesi.

È certo però che la situazione è pesante, e i nativi locali non tollerano più che persone giunte da altre nazioni, foreignpeople, ricoprano posti di responsabilità nel business management, cioè nella gestione dei soldi che in qualche modo giungono da ogni parte del mondo per i sudanesi, per la costruzione del nuovo Stato.

Ad oggi anche noi italiani, non siamo cosí amati come lo eravamo durante la guerra.

A questo va aggiunto che la gente è esasperata dal caro prezzi del cibo e dalla sua scarsità sui banchi del mercato. Oggi alcuni locali si lamentavano anche dei politici, accusandoli di non fare abbastanza per tutelare la povera gente dalla speculazione di certi “foreignpeople” , che hanno fatto la loro fortuna commerciando ogni tipo di bene commerciabile e speculando sui contribuiti delle molte ONG presenti.

Se hai sentito una volta il canto mortale del Kalashnikov, puoi star certo che non lo dimenticherai mai più, ed ogni volta saprai distinguerlo nel concerto della guerra, senza alcun dubbio. Dicono che chi abbia inventato questa arma seminatrice di morte, abbia studiato con dovizia di particolari anche il rumore della sua raffica, affinché chi lo sentisse rimasse terrorizzato. Non so se sia realtá o leggenda, ma è certo che il suo suono è agghiacciante.

Durante la guerra, qui in Sud Sudan, mi era capitato più volte di sentire le raffiche di Kalashnikov.

Poi, nuovamente nell’anniversario della vittoria del Referendum per l’indipendenza, mentre ero a Rumbek, ho sentito il Kalashnikov accompagnare i festeggiamenti, tra i canti e i tamburi. Ma a quel tempo era chiaro che si sparavano raffiche di gioia, inframezzate anche tra timidi fuochi di artificio.

Ieri notte, mentre ero appena fuori della missione, nel buio totale delle tenebre, illuminato appena dal chiarore delle stelle, alla prima rapida raffica di Kalashnikov, ne è seguita una seconda.

Tra le due raffiche il silenzio totale. Prima si sentiva il brusio arrivare dalle capanne e dalle case; il pianto di qualche bambino; qualche timido festeggiamento di chissà cosa. Dopo la prima raffica il silenzio ha occupato ogni spazio , ed è stato interrotto solo dalla seconda scarica.

Poi dopo qualche minuto, mentre i rumori della vita stavano riappropriandosi della notte, altre due raffiche hanno raggelato la notte.

Il canto era secco, isolato, mirato contro qualcuno….e ne annunciava la sua morte….!

Non riuscivo a dormire a causa del caldo e dei pensieri che affollavano la mia mente, per cui passeggiavo appena fuori del cancello del Pandoor. Non mi avventuravo oltre perchè il buio era profondo e la mia scarsa vista non era in grado di riconoscere alcunché. Lo Watchman a guardia dell’ingresso del Pandoor, seguiva da alcuni metri di distanza il mio cammino e ad ogni mio passaggio davanti a lui, mi ripeteva “How are you?” ed io “Fine, thankyou!”. Questo scambio di cortesie è andato avanti per più volte, fino a quando il canto di morte ha fermato l’orologio della vita, trasformando una bella serata ricca di stelle, in un brutto incubo.

Marco Bertolotto

News dal Sud Sudan
About Giulia