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22 Luglio 2021

Vita di padre Cesare con il ricordo di padre Luciano Perina

Il ricordo di padre Cesare Mazzolari è sempre vivo nella mente e nei cuori di chi lo ha conosciuto e oggi vi riportiamo quello di padre Luciano Perina, tratto dall’articolo “Pastore mite per un popolo fiero”, comparso su Nigrizia. Qui, padre Perina narra proprio l’incontro con Mazzolari avvenuto nel 1990.

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“Pastore mite per un popolo fiero”padre Luciano Perina (Nigrizia)

La prima cosa che mi è venuta in   mente alla notizia della morte di mons. Cesare Mazzolari, avvenuta il 16 luglio 2011, è stato un   nostro incontro avvenuto nel lontano 1990. Mi trovavo a Khartoum in convalescenza e lui, a quel tempo superiore provinciale dei comboniani in Sud Sudan, era di passaggio al Collegio Comboni.  Era una mattina molto calda e, dopo cola zione, mi stavo riposando all’ombra del grande ficus che si trova di fronte alla nostra casa. Padre Cesare venne a sedersi vicino a me e, dopo i primi convenevoli, mi chiese timidamente se avessi la bontà di ascoltarlo.

Gli era stato chiesto di diventare amministratore apostolico della diocesi di Rumbek, e lui era incerto se accettare. La sua esitazione era data dal fatto che non era mai stato a contatto diretto con l’etnia denka e non ne conosceva la lingua. Arrivato in Sud Sudan nel 1981, aveva lavo rato nella diocesi di Tombura-Yambio e poi nell’arcidiocesi di Juba. «Non sono mai stato tra i denka. Mi hanno detto che è un popolo fiero e forte, che in battaglia non si arrende mai e combatte fino all’ultima goccia di sangue». Non aveva torto: erano stati i denka a scatenare e portare avanti la prima rivolta sud-sudanese (1956-1972) contro il governo di Khartoum. E lui si domandava come avrebbe potuto vivere con un popolo con un carattere tanto diverso dal suo.

Aggiunse un secondo motivo di apprensione: «La regione di Rumbek è sempre stata una zona protestante, per volontà del governo coloniale, e la chiesa cattolica non è mai riuscita a mettervi radici stabili, nonostante i vari tentativi compiuti dai missionari fin dal 1950».  Cosa avrebbe potuto fare lui, uomo mite e gentile, in una chiesa disastrata e pressoché inesistente, com’era il Vicariato apostolico di Rumbek nel 1990?

Credo avesse voluto parlare con me perché sapeva che conoscevo i denka ab bastanza bene, dal momento che avevo trascorso diversi anni nella missione di Abyei. Gli risposi: «Sono veramente un popolo di guerrieri fieri e forti. Io, però, li ho trovati anche estremamente generosi, ospitali, secondi a nessuno in fatto di fedeltà agli impegni presi. Se riuscirai a non contrariarli e a non farli sentire inferiori, ti porteranno sempre in palmo di mano». Non so se quel mio parere positivo sui denka abbia in quel momento influito   sulla sua decisione di accettare la proposta del nunzio apostolico. Posso affermare, però, con assoluta certezza che per 21 lunghi anni i denka hanno trovato in lui un vero padre e la comunità cristiana un pastore capace. Tutti si sono sentiti orgogliosi e riconoscenti della sua presenza in mezzo a loro.

Quando arrivò a Rumbek come amministratore apostolico, padre Cesare trovò che, dal punto di vista organizzati vo, la chiesa cattolica era una realtà al quanto informe. Il personale era scarso e mancava un preciso piano pastorale. Le varie istituzioni ecclesiali erano poco più che nomi scritti sulla carta. «Sono arrivato in una landa desolata», mi scrisse.

N.B. Torniamo la prossima settimana sempre con il ritratto di padre Cesare attraverso le parole di padre Perrina da Nigrizia.

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