22/02/2016 – È di 18 morti e di una quarantina di feriti il bilancio del massacro dei giorni scorsi nel campo sfollati di Malakal, situato nella base della Missione ONU in Sud Sudan. Sarebbero stati militari sud-sudanesi a intervenire nel campo, sparando, per sedare una rissa scoppiata tra sfollati Dinka e Shilluk.
Dai 50 ai 100 militari dell’esercito sud-sudanese (SPLA) sarebbero entrati nel campo per poi sparare sui civili, saccheggiare i loro beni e incendiare le tende di plastica sotto le quali si riparano i rifugiati. L’incendio appiccato dai militari avrebbe provocato danni gravissimi privando migliaia di persone di un riparo.
I Caschi Blu hanno cercato di disperdere le due fazioni che si affrontavano con i gas lacrimogeni, sbarre di ferro e armi da taglio. In appoggio ai Dinka (etnia del presidente Kiir) sono sopraggiunti i soldati governativi, che hanno utilizzato armi da fuoco sugli Shilluk.
Scontri tra rifugiati erano già avvenuti in passato, mai si era avuto però un bilancio così pesante, tanto che gli Shilluk interpretano questo episodio drammatico come parte di un piano di pulizia etnica della città di Malakal, che nella ripartizione amministrativa a 28 stati è stata assegnata ad un’amministrazione Dinka, mentre storicamente è sempre stata abitata da Shilluk. Questo sta provocando tra gli abitanti un forte malcontento, che è sfociato in rissa al campo profughi, e al quale si teme possa ora seguire una rappresaglia vendicativa.
Viste le tensioni tra le persone ospitate nel campo, circa 47.500, l’ONU ha deciso di creare dei settori nei quali sono ospitati sfollati della stessa etnia. A causa del costante flusso di persone che vi cercano rifugio, tuttavia, il perimetro del campo viene allargato di continuo e questo può comportare alcune falle nella sicurezza. Gli operatori dell’ONU fanno il possibile, ma alcune fonti fanno notare che i materiali di costruzione per ampliare il campo provengono per via aerea e questo comporta costi non indifferenti.
(fonti: UNMISS, Agenzia Fides, Radio Tamazuj)