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8 Ottobre 2014

LE RADIO CATTOLICHE NEL MIRINO DELLA CENSURA

Nel frattempo, però, un’altra radio cattolica, la “Voice of Hope”, della Diocesi di Wau, è caduta nel mirino delle autorità governative, con l’accusa di collaborare con i ribelli.  Il governo ha intimato alla redazione di limitarsi a fornire solo “omelie e musica Gospel” e notizie locali, senza informare su quanto accade nel resto del paese, soprattutto se relativo all’opposizione.
Sono ormai diverse la radio cattoliche colpite dalla censura imposta dal governo, che così tenta di condizionare le informazioni sul conflitto e sui suoi esiti. Tra queste anche “Radio Bakhita”, l’emittente dell’Arcidiocesi di Juba, la capitale del Sud Sudan, chiusa dopo aver trasmesso, il 16 agosto scorso, una notizia sugli scontri in corso tra truppe regolari e ribelli nei pressi dell’importante città di Bentiu, dichiarando che, malgrado il comunicato ufficiale, fossero iniziati per mano dell’esercito governativo. Ora è sotto accusa per collaborazionismo.
Le Radio Cattoliche, presenti su tutto il territorio sud sudanese, sono molto importanti, perché propongono, accanto ai programmi religiosi, trasmissioni sull’agricoltura, sui giovani, sulla pace e programmi di educazione civica, di igiene, campagne di vaccinazioni e sanitarie.  Strumenti fondamentali per promuovere la pace e costruire un nuovo Sud Sudan.
Gli attacchi e la censura imposta dal Governo ai media incontrano la condanna unanime di numerose organizzazioni umanitarie e per i diritti del mondo occidentale, e di tutto il mondo dei giornalisti e della stampa. Gli stessi rappresentanti della Unione Europea in Sud Sudan si sono detti  preoccupati dalla restrizione della stampa, ed il capo della missione Onu in Sud Sudan (UnMiss) Toby Lanzer, denuncia apertamente un peggioramento della situazione dei media in Sud Sudan. Secondo il presidente della Unione dei giornalisti sud sudanesi definisce “anticostituzionale” il provvedimento contro Radio Bakhita, ai giornalisti viene anche impedito di visitare ospedali, cimiteri e campi di rifugiati persino nella capitale, Juba.

Nel frattempo, però, un’altra radio cattolica, la “Voice of Hope”, della Diocesi di Wau, è caduta nel mirino delle autorità governative, con l’accusa di collaborare con i ribelli.  Il governo ha intimato alla redazione di limitarsi a fornire solo “omelie e musica Gospel” e notizie locali, senza informare su quanto accade nel resto del paese, soprattutto se relativo all’opposizione.

Sono ormai diverse la radio cattoliche colpite dalla censura imposta dal governo, che così tenta di condizionare le informazioni sul conflitto e sui suoi esiti. Tra queste anche “Radio Bakhita”, l’emittente dell’Arcidiocesi di Juba, la capitale del Sud Sudan, chiusa dopo aver trasmesso, il 16 agosto scorso, una notizia sugli scontri in corso tra truppe regolari e ribelli nei pressi dell’importante città di Bentiu, dichiarando che, malgrado il comunicato ufficiale, fossero iniziati per mano dell’esercito governativo. Ora è sotto accusa per collaborazionismo.

Le Radio Cattoliche, presenti su tutto il territorio sud sudanese, sono molto importanti, perché propongono, accanto ai programmi religiosi, trasmissioni sull’agricoltura, sui giovani, sulla pace e programmi di educazione civica, di igiene, campagne di vaccinazioni e sanitarie.  Strumenti fondamentali per promuovere la pace e costruire un nuovo Sud Sudan.

Gli attacchi e la censura imposta dal Governo ai media incontrano la condanna unanime di numerose organizzazioni umanitarie e per i diritti del mondo occidentale, e di tutto il mondo dei giornalisti e della stampa. Gli stessi rappresentanti della Unione Europea in Sud Sudan si sono detti  preoccupati dalla restrizione della stampa, ed il capo della missione Onu in Sud Sudan (UnMiss) Toby Lanzer, denuncia apertamente un peggioramento della situazione dei media in Sud Sudan. Secondo il presidente della Unione dei giornalisti sud sudanesi definisce “anticostituzionale” il provvedimento contro Radio Bakhita, ai giornalisti viene anche impedito di visitare ospedali, cimiteri e campi di rifugiati persino nella capitale, Juba.

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