“I capi tradizionali sono ispirati da Dio per lavorare per la pace nelle nostre comunità. Sanno risolvere le dispute sorte tra gli individui e tra i gruppi” con queste parole il vescovo pentecostale Michael Taban, presidente del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, ha rivolto un appello ai capi tradizionali e agli anziani perché contribuiscano a riportare la pace nel Sud Sudan. Il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan è un organismo composto dalle 6 confessioni cristiane presenti nel paese: la Chiesa Cattolica, l’Episcopal Church of the Sudan, la Presbyterian Church of Sudan, l’African Inland Church, la Sudan Pentecostal Church, la Sudan Interior Church.
I leader religiosi hanno dichiarato di volersi impegnare a fondo per portare la pace e avviare la riconciliazione nel Paese, attraversato da mesi da un conflitto tra due poteri che è sfociato anche in scontro etnico, tra i Dinka (l’etnia del presidente Salva Kiir) e i Nuer ( l’etnia del contendente, Riek Machar) con numerosi episodi di violenza anche tra comunità vicine.
Gli anziani e i capi locali, così come i leader religiosi, hanno un ruolo fondamentale per la riconciliazione delle comunità, autorità stimate e riconosciute da tutta la popolazione, ed è quindi fondamentale che si impegnino in prima persona per la pace. Ed è un impegno che, secondo il presidente del South Sudan Council of Churches, i capi tradizionali hanno già sottoscritto, condividendo la missione di lavorare per la riconciliazione e per la costruzione della pace. Una notizia che da speranza, considerando l’alta autorità dei leader religiosi.
Sino ad oggi, infatti, anche gli ultimi accordi di pace, siglati a giugno, sono rimasti lettera vuota, e della costituzione del governo di unità nazionale, promessa dai leader in lite fin dallo scorso maggio, non vi è ancora traccia. Una situazione esplosiva che impedisce ogni ritorno alla normalità, con continue fughe di persone terrorizzate dalle violenze, campi e coltivazioni distrutti, migliaia di sfollati ammassati in ricoveri di fortuna, tra fango, fame e pandemie.
Serve la pace, per ridare dignità ad un popolo che ha già vissuto l’orrore di una lunga guerra e ora vuole solo poter scrivere un futuro diverso, per se e per i propri figli. Serve la pace per ricominciare, insieme, la strada dello sviluppo, dell’educazione, della crescita. Nell’attesa che questo accada, però, possiamo aiutarli a vivere. Possiamo curarli, dar loro da mangiare, guarire le ferite. Anche quelle dell’anima, grazie al lavoro dei nostri missionari.
Possiamo, perché hanno un amico come te. Non lasciamoli soli.
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