Riinizieranno, per la quarta volta, tra pochi giorni, i negoziati di pace tra il governo di Juba e i ribelli guidati da Riek Machar., sempre ad Addis Abeba, capitale della vicina Etiopia. Lo hanno confermato i rappresentanti dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo dell’Africa orientale (IGAD), che da giorni denunciano la violazione della tregua concordata a maggio, dopo gli attacchi dei ribelli a Nasir, località strategica vicino al confine con l’Etiopia, e i violenti scontri avvenuti nello Stato Northern Bahr El Ghazal, vicino ai confini col Sudan. Scontri però, fermati ora dalle piogge incessanti che hanno reso difficili le attività militari.
La diversa appartenenza etnica, infatti, è stata utilizzata senza scrupoli in questo conflitto, da una parte e dall’altra, per i propri fini ed interessi, scatenando quella che molti media occidentali si sono affrettati a definire “guerra etnica”.
A questi nuovi negoziati di pace guardano tutti, con preoccupazione e forti speranze. Machar si è detto d’accordo ad una vera e definitiva tregua, ma solo a patto che Salva Kiir non si ripresenti alle elezioni del 2015. Inoltre, vuole la nascita di uno Stato Federale, con la possibilità di controllare e governare le regioni a maggioranza Nuer. Il nuovo vice presidente James Wani Igga si è però già opposto: « Il Sud Sudan corre il rischio di essere suddiviso in Stati tribali con un aumento di conflittualità e di insicurezza. Il costo per mantenere una simile struttura sarebbe troppo alto», ha detto. A sottolineare questo, il giorno dell’anniversario d’indipendenza, il 9 luglio, il governo di Juba ha proposto uno slogan davvero pieno di speranze: “Sud Sudan, una nazione, un popolo”.
La speranza di tutti, dunque è che questo conflitto che sta insanguinando il paese, con oltre 10.000 morti e un milione e mezzo di sfollati in sei mesi, sia definitivamente fermato. E che si possa ricominciare a costruire, a studiare, a coltivare e a dare ad un paese, ormai in piena crisi umanitaria, la garanzia di un futuro diverso.