La situazione umanitaria nel paese, nel frattempo, è sempre più drammatica. Manca il cibo: coltivazioni, attività agricole e progetti di sviluppo alimentare sono stati distrutti o bloccati dal conflitto. E la mancanza di politiche agricole di sviluppo, e lo sfruttamento di molte aree per il petrolio e interessi internazionali, non hanno permesso di produrre sufficiente cibo per contrastare la carestia. In molte aree del paese l’unico cibo possibile è quello che arriva dagli aiuti internazionali, attraverso le Ong presenti sul territorio.
Nei numerosi campi di fortuna che hanno accolto gli sfollati sul territorio, molti dei quali ora letteralmente nel fango, a causa delle forti piogge, stanno scoppiando epidemie di colera e tifo, la malaria imperversa e milioni di persone hanno urgente bisogno di acqua pulita e cibo, assistenza sanitaria, rifugi sicuri e strutture igieniche. Hanno bisogno di tutto, insomma. E a farne le spese, come sempre, sono i bambini. «Cinquantamila bambini potrebbero morire quest’anno se non ricevono aiuto», ha detto il responsabile per gli aiuti dell’Unicef. Ma sono più di 900.000 quelli a rischio, in tutto il paese.
Non è solo colpa della guerra, però. In realtà, il governo di Juba sapeva da tempo, e ben prima del conflitto, che la carestia sarebbe arrivata, mettendo a rischio la vita di migliaia di persone, ma poco, o meglio, nulla ha fatto per arginare il fenomeno, puntando invece tutto sul petrolio. Anche l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navy Pillay, durante una visita ufficiale a Juba lo scorso aprile, rimase sconvolta dalla indifferenza del presidente Kiir e del suo ex vice Machar di fronte al dramma del loro popolo: « La prospettiva di infliggere la fame e la malnutrizione su larga scala a centinaia di migliaia di loro concittadini non sembra toccarli in modo particolare» ha detto, lamentando l’assenza di piani di emergenza alimentare del governo.
Il vuoto dello Stato, dunque, incapace di promuovere e avviare in questi primi anni serie politiche agricole, di sviluppo e assistenza, la mancanza di istruzione, e l’estrema povertà in cui vivono la maggioranze delle famiglie sud sudanesi sono le cause profonde di questa crisi, oltre il conflitto.
L’intervento della Comunità internazionale, e il nostro, sono l’unica garanzia di sviluppo reale per il paese. L’unica speranza di futuro.
I missionari e le missionarie della Diocesi di Rumbek, i tanti volontari, i medici e gli operatori umanitari proseguono ogni giorno la loro battaglia contro le continue emergenze, nei nostri ospedali si lavora senza sosta, e ogni nostro sforzo, in questi mesi, è dedicato a questo.
Ma il nostro impegno va oltre: noi crediamo in questo popolo, nelle donne e nei giovani sud sudanesi, crediamo nel loro futuro, e vogliamo dar loro ogni strumento per poterselo scrivere da soli. Vogliamo dar loro istruzione qualificata e formazione professionale, vogliamo costruire infrastrutture e servizi, dare lavoro, creare benessere e sviluppo.
Per questo non possiamo smettere di impegnarci.
Per questo non possiamo smettere di chiedere il vostro aiuto!