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19 Maggio 2014

SUDAN, NUOVO PROCESSO PER LA DONNA CONDANNATA A MORTE PERCHE’ CRISTIANA

Mariam avrà un nuovo processo, e stavolta non sarà il tribunale religioso ma la Corte Suprema ad affrontare il suo caso. Una decisione che dà grande speranza di evitare la condanna a morte.

(Foto tratta da Avvenire.it)

Come sapete, la giovane donna sudanese, incinta di 8 mesi, è stata arrestata a Khartoum il 17 febbraio insieme al primo figlio, e condannata a morte per impiccagione da un Tribunale locale perché colpevole di essere cristiana. Mariam, infatti, è figlia di un musulmano, assente però fin dalla sua nascita, e di una donna cristiana ortodossa, che ha cresciuto la figlia secondo la sua fede. Infine si è sposata con uno straniero, Daniel Wani, sud sudanese di fede cristiana, matrimonio considerato non valido dalla dura legge islamica imposta dal Governo del Sudan, e definito dal Tribunale un vero e proprio adulterio. Secondo la Sharia, se il padre è musulmano, la figlia è automaticamente musulmana e non può rinnegare la sua religione, ne tantomeno sposare infedeli, e per questo il Tribunale l’ha condannata a morte per apostasia.

Durante il processo, i giudici si sono rivolti a lei utilizzando sempre il suo nome musulmano, Mariam Yehya Ibrahim. Mariam ha subito già la condanna a 100 frustate perché ha avuto rapporti sessuali con il marito. Poi le hanno dato tre giorni di tempo per rinunciare alla sua fede ed al matrimonio e tornare all’Islam, e, davanti al rifiuto della donna, l’hanno condannata per impiccagione.

A difesa della donna sono scese in campo numerose ambasciate dei Paesi occidentali, in testa gli Stati Uniti, e diverse Ong e organizzazioni in difesa dei diritti civili, come Amnesty International, che ne hanno chiesto la liberazione immediata, lanciando appelli per fermare questa barbarie.

Tanta pressione, in un momento particolarmente difficile, ha probabilmente spinto il governo sudanese a riaprire il processo e far giudicare la donna da un Tribunale laico.

Cesar si è unita fin dal primo giorno ai cori di protesta della comunità internazionale per fermare questa barbarie, ma sappiamo quanto duro e intollerante sia il governo sudanese e la sua legge contro gli oppositori e le altre religioni, e più di noi la sa il popolo sud sudanese, ancora ferito dalla violenza subita.

In attesa di conoscere il destino di Mariam, di suo figlio e di suo marito Daniel, le nostre, e speriamo vostre, preghiere sono tutte per loro e per quella piccola vita che Mariam porta in grembo.

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