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7 Marzo 2014

Sud Sudan: proseguono le violenze.

Suor Anna: Dio ci è vicino, è la speranza della gente

 

Nuovi scontri a Juba, in Sud Sudan, dopo le violenze scoppiate a metà dicembre tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar, già da tempo in disaccordo sul controllo dell’esecutivo e del partito Splm, il Movimento per la liberazione del popolo sudanese. Stavolta, i combattimenti sarebbero stati provocati da dissidi interni all’esercito, forse legati a stipendi non pagati. Cinque militari hanno perso la vita. La situazione, dunque, rimane ancora tesa nel giovane Stato africano. Per una testimonianza da Juba, ascoltiamo suor Anna Gastaldello, missionaria comboniana da 15 anni in Sudan e Sud Sudan.

L’intervista è di Giada Aquilino, per Radio Vaticana


R. – Oggi c’è calma, la gente è tornata alle proprie attività, anche se ci sono ancora profughi e sfollati che hanno trovato rifugio nella cattedrale di Juba, Santa Teresa. Stamattina sono andata là e ce n’erano un centinaio. Il parroco mi ha detto che ieri sera erano molti, poi sono tornati a casa.

D. – Ieri, invece, ci sono stati scontri?

R. – Ci sono stati scontri tra soldati della SPLM: sono andati a prendere la loro paga, alcuni di loro però non hanno ricevuto i soldi, per motivi che non si conoscono. Sono scoppiati alterchi e hanno cominciato a spararsi addosso.

D. – Combattimenti tra truppe fedeli al presidente Salva Kiir e quelle ribelli dell’ex presidente Riek Machar se ne segnalano?

R. – Qui a Juba no, ma in altre parti del Paese sì, specialmente nelle zone petrolifere.

D. – Ci sono notizie che, per esempio, a Malakal, nell’Alto Nilo, sono state evacuate molte persone…

R. – Malakal è sotto il controllo dei ribelli. Praticamente è vuota.
D. – Ma perché, di fatto, da metà dicembre la violenza è divampata così prepotentemente in Sud Sudan?

R. – La risposta è difficile. Penso che alla base di tutto ci sia una corsa al potere: all’interno del movimento SPLM/SPLA c’erano contrasti molto forti che non si sono risolti con il dialogo, per cui un gruppo – quello di Riek Machar – ha preferito la rivolta armata.

D. – Voi operate a contatto con le popolazioni sud sudanesi: quale messaggio diffondete, soprattutto dopo le ultime violenze?

R. – Abbiamo cercato di rimanere con la gente il più a lungo possibile, finché è stato possibile, in tante comunità. Dopo siamo arrivati ad un punto per cui non si poteva più rimanere in certe zone: le nostre comunità sono state attaccate, derubate. Il messaggio che cerchiamo di dare alla gente è che Dio è vicino a loro anche in questo momento così difficile. Cerchiamo di portare un messaggio di speranza. Diciamo alle persone: la croce che state vivendo adesso, porterà alla resurrezione. Poi, c’è anche il messaggio della riconciliazione, del volersi bene, del trattarsi come fratelli e sorelle. Infatti, tra la popolazione civile non ci sono grandi problemi, i problemi grossi sono a livello di esercito. Ci sono state anche azioni brutte, come lotte tribali, dove alcune persone sono state uccise solo perché appartenevano ad un certo gruppo tribale. Però, tra la popolazione civile non c’è davvero questo problema. Penso che i problemi debbano essere risolti a livello di ribelli e governo: i dialoghi di pace al momento sono stati interrotti e riprenderanno il 20 marzo.

Il problema quindi è di tipo politico e, se non verrà risolto, continuerà ad esistere e la gente continuerà a soffrire. La speranza è che il Signore riesca a cambiare i cuori dei leader locali, affinché guardino veramente al bene della gente, più che ai loro interessi politici.

 

 

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/articolo.asp?c=779125
del sito Radio Vaticana

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