La ripresa dei negoziati tra le due fazioni, in guerra dallo scorso dicembre, voluta dalle forze dell’IGAD, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo dell’Africa centrale, sembra sempre più lontana e incerta.
All’origine degli scontri e delle violenze tra il governo di Juba ed il fronte dell’ex vicepresidente Riek Machar, ci sono accuse di golpe da una parte e di derive autoritarie dall’altra, dopo un rimpasto del governo, che porta però lo spettro di un conflitto etnico tra le due principali comunità del paese, i Dinka, a cui appartiene Salva Kiir, presidente del Sud Sudan, e i Nuer, di cui è esponente l’ex vice presidente ribelle, Riek Machar.
Le due fazioni si accusano a vicenda di aver compiuto massacri di civili dell’etnia opposta, e i negoziati, che avevano già prodotto in gennaio una tregua, seppur molto traballante, sono stati di nuovo fermati da gravi accuse che il fronte dei ribelli ha rivolto al governo, denunciando che forze militari ugandesi, in appoggio a Kiir, hanno nei giorni scorsi attaccato un compound dell’Onu che ospitava profughi di etnia Nuer, alla periferia di Juba, capitale del Sud Sudan. I ribelli contestano inoltre il mancato rilascio di prigionieri della loro fazione.
La presenza delle forze militari ugandesi è contestata dall’Igad ed in particolare dal Sudan e dal Kenya, che vedono nella loro partecipazione il grave rischio di un estensione del conflitto a livello interregionale. Salva Kiir però rivendica il “diritto sovrano di chiedere aiuto agli amici, per mantenere la stabilità del paese”.
L’ennesimo rinvio dei colloqui, lunedì scorso, è stato comunque duramente criticato dai mediatori dell’Igad: il capo negoziatore, Seyoum Mesfin, etiope, in conferenza stampa ha sottolineato come le accuse e le dichiarazioni del capo dei ribelli contraddicano quanto promesso finora, ovvero che non sarebbero state poste alcuna precondizione al dialogo con il Governo”, per giungere ad un vera pace. Tutto questo, mentre il paese vive una delle peggiori crisi umanitarie mai viste dalla fine delle guerra civile, con oltre 3 milioni di persone a rischio per la fame e migliaia di profughi e sfollati ammassati in ricoveri di fortuna, senza cibo, acqua con rischi di vere e proprie pandemie.
Una drammatica emergenza, cui può far fronte solo l’aiuto della comunità internazionale. Anche dell’Italia.