Si continua a combattere a Malakal, nell’Alto Nilo, dopo la breve pausa dei giorni scorsi: lo riferiscono alla MISNA alcuni responsabili della Missione dell’Onu in Sud Sudan (Unmiss), denunciando che colpi di artiglieria hanno raggiunto anche una base di peacekeeper, presente in città, dove sono rifugiati circa 20.000 civili, provocando diversi feriti.
Come sottolineano i responsabili di Unmiss e quelli dell’Ufficio Onu per l’assistenza umanitaria (Ocha), a Malakal non è chiaro chi controlli realmente la città. Sia dai reparti dell’esercito fedeli al presidente Salva Kiir che dalle unità militari dissidenti e i gruppi ribelli legati all’ex vice capo dello Stato Riek Machar arrivano dichiarazioni poco attendibili e la situazione sempre più grave.
Il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan lancia un appello. Nel documento presentato all’Onu, intitolato “Lasciate vivere il mio popolo in pace e in armonia”, i religiosi chiedono un cessate il fuoco incondizionato e ribadiscono che il “dialogo è l’unica via legittima per risolvere le liti tra le parti in lotta”.
Nel documento, chiedono inoltre l’apertura di “corridoi umanitari” per poter assicurare assistenza alle persone bisognose. Nelle nove basi di Unmiss sul territorio nazionale sono rifugiate circa 65.000 persone, in condizioni spesso difficili, ma altre migliaia sono in fuga nei territori, rifugiate nelle regioni vicine, in diverse Missioni, tra cui quelle di Aliap e Bungaok, nella Diocesi di Rumbek, dove i missionari denunciano la mancanza di cibo sufficiente ed il rischio di nuove pandemie di colera, o altro. Come già annunciato dai responsabili sanitari, in molti campi profughi ci sono già i primi sospetti casi di morbillo e la fame sta mietendo vittime soprattutto tra i bambini più piccoli.
In attesa che torni la pace, è solo il nostro aiuto che può dare a queste persone la speranza di un futuro. Non abbandonate il popolo del Sud Sudan: anche un piccolo contributo può salvare delle vite. http://www.cesarsudan.org/it/sostieni-cesar-sudan.html