Malgrado il mancato accordo tra i presidenti dei due paesi e sulla questione della regione, da ieri migliaia di persone, di etnia Ngonk Dinga, stanno partecipando ad un referendum convocato dalla società civile per l’autodeterminazione di Abyei.
Lo ha confermato all’agenzia Misna Monsignor Michael Didi Mangoria, vescovo di El Obeid, la diocesi che comprende la regione a confine tra i due paesi. Secondo il Vescovo, le comunità Dinka stanno partecipando con entusiasmo alla consultazione, le cui votazioni andranno avanti per tre giorni.
Un voto però non riconosciuto né da Juba, né tantomeno da Khartoum.
Il timore degli osservatori è che una consultazione decisa in modo unilaterale possa compromettere i difficili negoziati che i due governi si sono impegnati a proseguire per decidere il destino della regione petrolifera, da sempre contesa. A conferma del timore di possibili nuove tensioni, c’è la decisione del governo di Khartoum di negare, poche settimane fa, ad una delegazione dell’Unione Africana (UA) l’ingresso ad Abyei, affermando di “non voler far coincidere la visita con i preparativi del referendum”. L’organismo continentale, che segue da vicino le trattative in un complesso tentativo di mediazione, ha accusato il Sudan di ostacolare il proprio lavoro, chiedendo “una piena cooperazione per risolvere la situazione ad Abyei”.
I primi risultati del Referendum popolare saranno diffusi giovedì 31. Questa consultazione in realtà era prevista già negli accordi di pace del 2005, per poter decidere se Abyei e i suoi giacimenti dovessero essere controllati da Juba o da Khartoum, ma nel 2011 fu rinviata per dare priorità al grande referendum che portò all’indipendenza del Sud Sudan, e da allora è stata sospesa a causa dei contrasti sugli aventi diritto: secondo il Sud Sudan avrebbero diritto solo i residenti, la cui maggioranza è Ngok Dinka, la stessa della popolazione sud sudanese, ma Al Bashir vuole che a votare siano anche i pastori arabi Misseriya, che nella regione vivono solo alcuni mesi dell’anno, ma che sono alleati di Khartoum. Vedremo come reagiranno i due governi ma in ogni caso, ci auguriamo che in un modo o nell’altro, finisca il martirio di quella popolazione.