di Anna Pozzi.
A un anno di distanza, è festa in Sud Sudan, ma con un pizzico di disincanto e amarezza. Molto dell’entusiasmo legato alla nascita della nuova Repubblica del Sud Sudan, il 9 luglio 2011, è scemato di fronte alle promesse non mantenute, alla corruzione dilagante, agli standard di vita che non sono migliorati per la stragrande maggioranza della popolazione che continua a vivere sotto la soglia di povertà. Per non parlare delle tensioni sempre più forti tra i governi del Sud e del Nord, che hanno fatto temere lo scoppio di una nuova guerra.
Sono molto realisti, in questo senso, i vescovi cattolici e anglicani del Paese che, a un anno dall’indipendenza, ribadiscono insieme un concetto di fondo, imprescindibile per poter progettare una bozza di futuro: “Sudan e Sud Sudan devono vivere in pace”.
“Le relazioni tra i governi dei due Paesi – scrivono i vescovi sono deteriorate a un livello inaccettabile. Rifiutiamo la guerra come opzione per risolvere le dispute e facciamo appello a tutte le parti di rispettare il cessate-il-fuoco e di ritirare le loro forze dalle regioni di confine”.
Non solo. I vescovi deplorano i continui scontri inter-etnici che stanno destabilizzando diverse regioni del Sud, nonché i conflitti ancora in corso in Darfur, nel South Kordofan e nel Southern Blue Nile. Infine, si accenna all’irrisolta controversia legata allo Stato dell’Abyei, uno dei più ricchi di petrolio: “Il Protocollo di Abyei – ricordano i vescovi – offre i mezzi per risolvere il problema attraverso un referendum”. Peccato che il governo di Karthoum non abbia alcuna intenzione di tenerne conto, così come non ha rispettato un recente arbitrato internazionale della corte dell’Aja, proprio in relazione a questa regione.
Infine, ovviamente, il petrolio, posta in gioco della guerra prima, e ora della pace. “Il petrolio è una risorsa donata da Dio che deve beneficiare i due Paesi – ricordano i vescovi -. Chiediamo un accordo basato su norme internazionali per il trasporto del greggio e per riconoscere i danni causati dall’attuale impasse alle popolazioni di entrambi gli Stati. I prezzi sono in aumento e vi sono carenze di beni essenziali, che rendono la vita difficile ai cittadini comuni”.
Insomma il Sud Sudan un anno dopo vive una situazione alquanto difficile e precaria. Come del resto era facile prevedere, visto che il Paese nasce dalle ceneri di una lunga guerra, che ha distrutto tutte le infrastrutture e non ha permesso di formare personale qualificato per costruire il nuovo Stato. Sta di fatto però che, nonostante difficoltà ed ostacoli, qualcosa è stato fatto. E la Chiesa è pronta a continuare a dare il suo prezioso contributo, specialmente nei campi della pace e della riconciliazione e in quelli dell’istruzione e della sanità.